Nell’opera di Cesare Pavese è sempre presente una doppia dimensione: particolare e universale. Infatti, essa è profondamente legata al territorio di riferimento, quello piemontese, oscillante tra città e campagna, tra la Torino in cui egli vive e lavora, e le Langhe, in cui è nato e a cui lo legano intensi ricordi d’infanzia, molto importanti nell’ambito della sua teoria del mito, che assegna un ruolo decisivo alle esperienze vissute nei primi anni. Allo stesso tempo, però, essa assume una dimensione universale, affronta gli eterni problemi che assillano l’intera umanità, nel corso della sua storia ultra millenaria. Ed è questo il segreto del suo successo pavesiano nel mondo, che perdura nei decenni e cresce nel tempo.
Una conferma di tutto ciò viene dall’attività instancabile dell’Osservatorio permanente sugli studi pavesiani nel mondo, organismo nato nel 2001 all’interno del Cepam di Santo Stefano Belbo, presieduto da Luigi Gatti, con sede nella casa in cui è nato lo scrittore. L’Osservatorio si propone di monitorare il panorama letterario internazionale per individuare nuovi studi sull’opera di Cesare Pavese. I risultati sono stati resi noti sinora attraverso la pubblicazione, con rigorosa cadenza annuale, di saggi internazionali di critica pavesiana, ai quali hanno collaborato docenti universitari e critici di tutto il mondo.
Il sedicesimo volume esce in questi giorni con il titolo “Cesare Pavese e le strade del mondo”. La sua opera è analizzata con attenzione in vari Paesi: Italia, Albania, ex Jugoslavia, Serbia, Slovenia, Croazia, Spagna, Portogallo e Argentina. Sono ospitati saggi scritti da Antonio Catalfamo, Franco Ferrarotti, Enrica Salvaneschi, Dušica Todorovic, José Abad, Irena Prosenc, Graciela Beatriz Caram Catalano, Hebe Silvana Castaño, José Manuel de Vasconcelos, Višnja Bandalo, Silvia Cattoni, Bibiana Eguía e Irena Lama.